La Roccho dâ Përtur

Il primo è il caratteristico tunnel della Roccho dâ Përtur (toponimo che nella lingua locale significa roccia col buco): è un enorme sporgenza rocciosa traforata artificialmente allo scopo di permettere il passaggio di un canale che doveva servire per l'irrigazione e per muovere un frantoio molto antico, in località Lou Plan, che produceva olio di noci, assai comune a quel tempo. Il canale faceva funzionare anche un importante mulino per cereali, l'unico nel Comune di Pomaretto, che si trovava in località Lou Moulin, del quale si servivano anche gli abitanti dell'ex comune di Meano, passando attraverso la Roccho dâ Përtur, ed inoltre un pastificio, sostituito più tardi da una falegnameria, in località Lou Rian.

Alla galleria, collocata a pochi minuti di cammino dal centro di Pomaretto, si accede dalla strada principale all'altezza del ponte che divide Pomaretto da Perosa Argentina. In corrispondenza del parcheggio del Ristorante dei Cacciatori, un sentiero si inoltra per i prati, costeggiando la riva destra orografica del Torrente Chisone seguendo la bealera (canale) sopra citata, oggi irreversibilmente in secca.
Impossibile, in ogni caso, stabilire la data, anche solo approssimativa, in cui il condotto venne scavato; evidenti segni di scalpellatura lungo le sue pareti interne ed all'imboccatura fanno ritenere che l'opera possa risalire addirittura ad epoche precedenti il XV secolo, quando non era ancora conosciuto l'uso delle polveri da sparo e quindi della dinamite.

La Roccho de l'Ampereur

La seconda località invece, conosciuta come la Roccho de l'Ampereur, si trova sul versante orientale della Punta Tre Valli, Trèi Aval, a circa 1000 metri di altitudine, nell'ex Comune di Bovile (Perrero), a poca distanza dal confine con Pomaretto . Vi si accede seguendo per 4 - 5 Km. la ripida e stretta strada asfaltata, che si imbocca in prossimità dell'Ospedale Valdese e che collega Pomaretto capoluogo con le borgate del Peui.

Nei pressi dell'ultima curva, prima di arrivare alla borgata Cerisieri, si imbocca sulla sinistra un sentiero che attraversa due combe e, in un quarto d'ora circa, si raggiungono dei casolari di rovina, punto di riferimento per salire ad esplorare la roccia. Dalla primavera del 1686 al settembre 1689, la sola famiglia valdese rimasta alle valli, secondo la tradizione era quella di Pietro Costantino, della borgata Triere, di Bovile, che sfuggita alla cattura, rimase per oltre tre anni nascosta nella roccho dë l'Ampëreur. Esistono infatti nella roccia varie balme di difficile accesso dove la famiglia Costantino si nascondeva nei momenti di maggior pericolo. In una di queste, situata poco sotto la cima, in posizione panoramica e di vedetta, tuttora protetta da un muretto a secco, possono nascondersi a malapena due persone sdraiate; anni addietro, nella stessa vennero ancora trovati dei cocci di stoviglie.

In basso, poco a monte dei casolari in rovina di cui abbiamo accennato prima, a sinistra del sentiero che sale a lato della roccia che fa da ridosso ad un piccolo ripiano, sono scolpite le iniziali 'P.C.' e l'anno 1690.
Il toponimo con cui la località è denominata deriva probabilmente dal nomignolo (l'Ampëreur, appunto, l'imperatore) con cui era allora conosciuto il proprietario del bosco nel quale si erge la roccia.

Il Convitto Valdese

Edificio dallo stile architettonico imponente, fu costruito come segno di pace dopo gli orrori della I guerra mondiale. Edificato tra il 1920 ed il 1922 dalla Tavola Valdese e dedicato alla memoria dei caduti nella grande guerra, era destinato ad accogliere gli alunni della Scuola Latina provenienti da altre comunità. Per alcuni anni ospitò la colonia infantile della FIAT. Dal 1938, anche in seguito alla chiusura della Scuola Latina nel 1931, vi fu aperto un orfanotrofio. Nel 1945 fu riaperto anche il Convitto per studenti.

A partire dal 1972 il Convitto fu dedicato a casi sociali e negli ultimi anni vi funzionarono due comunità alloggio per minori. Chiuso dal 1988, è stato parzialmente ristrutturato all'interno e vi trovano sede alloggi di servizio della chiesa valdese di Pomaretto, oltre ai locali sulla sinistra utilizzati per il culto e le attività della chiesa valdese nel periodo invernale.

La Scuola Materna

L'edificio, sito verso il fondo del paese, fu costruito dalla chiesa valdese nel 1904 allo scopo di creare un asilo infantile, ma dopo poco tempo fu chiuso per mancanza di fondi. Venne poi aperta una scuola materna solo nel 1961. Questa scuola diventò statale nel 1976, per deliberazione dell'assemblea di chiesa. Ora la scuola materna è in funzione nei locali del Municipio.

L'Eicolo Grando e le scuole Beckwith

A Pomaretto, come in altri paesi delle Valli Valdesi, l'istruzione fu sempre tenuta in grande considerazione, perché la Chiesa Valdese, che fonda la sua fede sulla Bibbia, si preoccupava di mettere in grado i suoi aderenti di leggere le Scritture. Segue un elenco delle scuole operanti nella chiesa di Pomaretto, istituite man mano a partire dal 1834, nei vari quartieri:
  • Clot Boulard (1834)
  • Enfous (1834)
  • Cerisieri (1844)
  • Aymar (1844)
  • Faure (1844)
  • Combavilla (1846) - Comune di Inverso Pinasca
  • Clot (1861) - Comune di Inverso Pinasca
  • Faiola (1861) - Comune di Inverso Pinasca
  • Pons (1866)
  • Perosa (1871) l'attuale Sala Bombardini
  • Eicolo Grando di Pomaretto (Scuola grande - 1856)

Origine degli ospedali valdesi di Torre Pellice e Pomaretto

L'idea di avere un ospedale per ricoverare i Valdesi poveri, disseminati nelle varie borgate della Val Germanasca e della Val Pellice era maturata negli anni del dominio napoleonico, durante il quale i Valdesi avevano vissuto un periodo di libertà religiosa.

Ma con l'editto firmato il 21 maggio 1814, il re di Sardegna Vittorio Emanuele I, ristabilisce tutte le leggi in vigore prima del 1789 e i valdesi si ritrovano a vivere nelle stesse condizioni di vent'anni prima. La situazione economica dei Valdesi, in quel periodo è disastrosa: l'economia basata su una povera agricoltura di montagna e anni di carestie, fanno sì che la popolazione, composta prevalentemente da contadini, disponga di scarsi mezzi di sostentamento.

Inoltre le case di cura, ossia gli Ospedali, erano prevalentemente a carattere confessionale, cattolico, come l'Ospedale Mauriziano di Luserna e qui i Valdesi non vi erano accolti. E se vi dovevano essere ricoverati, ricevevano pressioni per spingerli all'abiura.

In uno scritto, a firma di Davide Jahier, datato 1914, leggiamo: "Non era del tutto nuova l'idea di un Ospedale per il ricovero dei Valdesi poveri, difficili a soccorrersi nella dispersione delle loro casupole sui fianchi rigidi delle loro Valli e molestati, se ammessi per singolar grazia in Ospedali cattolici, per la loro fede religiosa. (...)"

Ecco farsi avanti una modesta donna, non più giovane; la quale dopo aver allevato la propria famiglia di ben otto figli, si sente ancora chiamata a iniziare una grande opera di carità, in favore del suo popolo infelice. Carlotta Geymet, afferra l'idea di un Ospedale Valdese, che è nell'aria, la fa sua, ne sogna lungamente, ne intrattiene gli amici svizzeri e inglesi, ne vive insieme al marito, il venerando ex-Moderatore ed ex-Sottoprefetto, che si è associato ad essa nell'opera santa; e non si dà pace che non ne abbia veduto un principio di effettuazione". [Bulletin de la Société d'Histoire Vaudoise n. 33]

La persona che qui viene nominata è senza dubbio un personaggio straordinario per quell'epoca, una singolare figura di donna: Charlotte Peyrot (1764-1841), moglie di Pietro Geymet (1753-1822), già Moderatore della Chiesa Valdese e poi Sottoprefetto di Pinerolo dal 1801 al 1814, durante l'epoca napoleonica e infine Rettore della Scuola Latina, che in quegli anni aveva sede a Torre Pellice.

Donna coraggiosa e determinata, Charlotte lancia un appello agli amici delle Chiese protestanti Europee, raccontando la triste situazione dei Valdesi poveri, che non possono accedere agli ospedali cattolici, per farsi curare.

Il suo appello non cade nel vuoto: dalla Svizzera, alla Germania, all'Olanda, all'Inghilterra, tutte le potenze protestanti concorrono, con estrema generosità, alla raccolta dei fondi necessari alla costruzione di un ospedale.

Non si conosce esattamente l'entità della somma raccolta, ma si sa che essa superava i centomila franchi, grazie anche alla generosità dell'ambasciatore di Prussia a Torino, il conte Waldburg-Truchsess, grande amico dei Valdesi e allo zar Alessandro I di Russia, che donò una generosa somma, parte della quale fu destinata alla ricostruzione del Tempio di Pomaretto.

L'Ospedale di Torre Pellice venne inaugurato nel maggio del 1826. Intanto anche la Val Perosa e la Val S. Martino manifestano l'esigenza di un loro Ospedale e la Tavola Valdese studiò il modo di provvedere, senza dover creare un nuovo ospedale, con conseguenti difficoltà burocratiche.

Con una delibera del1'8 agosto 1826, la Tavola decide l'apertura di un dispensario o deposito dell'Ospedale di Torre, in quel di Pomaretto; a questo scopo si affitta una casa in fondo al Vecchio Borgo, di proprietà di Davide Bert e Pierre Grill.

Ospedale ValdeseL'attività di questo ospedale inizia il 1° gennaio 1826, con 9 letti: la direzione sanitaria viene assunta dal chirurgo Droghero di Perosa Arg, con lo stipendio di 400 lire annue, e la collaborazione dell'infermiera Anna Pons di Massello, che ricevette 72 lire annue, più il vitto; allo stesso Pierre Grill si affida l'incarico di economo, di cuoco, di infermiere, con lo stipendio di 150 lire annue, più il vitto. Ben presto questa nuova sistemazione si rivela inadeguata al numero di richieste, si trova quindi una nuova sede nel vecchio presbiterio (cioè la casa pastorale), in quell'edificio che è stata la casa comunale fino al 1976. Soltanto qualche anno più tardi si costruirà la sede definitiva: il 3 novembre 1833 viene stipulato l'atto di vendita di alcuni terreni, situati vicino al cimitero valdese, in regione Turasse, dove sorgerà il nuovo Ospedale, chiamato Ospedale sussidiario, che sarà inaugurato nel 1839. Secondo le statistiche, negli anni compresi tra il 1860 e il 1874 risultano nei due Ospedali 3803 pazienti, con una media di 253 malati all'anno. Le cause dei ricoveri erano dovute principalmente alla malnutrizione, al freddo, ai reumatismi, agli acciacchi della vecchiaia.

Bibliografia: G. Baret: "Pomaretto in Val Perosa" - P. Corsani: "Le prime strutture sanitarie. Gli ospedali valdesi di Torre Pellice e Pomaretto" in "Malattia e Salute" ed. Priuli e Verlucca - A. Armand - Hugon: "Le origini dell'ospedale di Torre e Pomaretto" (opuscolo del 17 febbraio 1971)

Tratto dal calendario della Pro Loco di Pomaretto dell'anno 2003.

La borgata Pons

Porta impressi i segni dell'immane tragedia della seconda guerra mondiale: il 21 marzo 1944 i soldati tedeschi della postazione di Perosa irrompono nel villaggio ed appiccano il fuoco alle case, probabilmente come segno di rappresaglia in seguito all'osservazione nei giorni precedenti di movimenti sospetti partigiani. Quattro abitanti vengono uccisi. Alcune case, non ricostruite, testimoniano il rogo della borgata.

DA INTERVISTA A ELVIRA PONS

Questa intervista a Elvira Pons è stata rilasciata a Paolo Corsani e Marco Mourglia il 9 giugno 1995 e publlicata lo stesso anno sul numero 1° del MELO, lettera circolare del comune di Pomaretto con il titolo: "PER NON PERDERE LE NOSTRE RADICI". La testimonianza venne poi ripresa da Marta Baret e pubblicata sul suo libro "GENTE IN GUERRA".
Elvira Pons è nata il 9 gennaio 1914 ai Pons di Pomaretto, figlia di Enrico Pons e Paolina Gaydou dei Faure. Sposó nel 1934 Emilio Bouchard di Pramollo; ebbero una figlia, Milena che sposó Ernesto Chambon.
Vivono a Pinerolo e tornano saltuariamente nella loro casa al Brancato.
Da giovane lavorava la campagna con i genitori e si occupava degli animali: una mucca e alcune capre. Elvira ha sempre abitato ai Pons e quindi ha vissuto i tristi giorni della guerra, in particolare quello in cui la borgata è stata distrutta da un incendio; era il 21 marzo 1944 e in quella circostanza hanno perso la vita quattro persone.
Elvira è deceduta il 1° novembre 2005 e ha raccontato così i fatti accaduti il 21 marzo:
" Ci sono solo più io qui, che ho vissuto la tragedia dell'incendio. Era il 21 marzo del 1944 e ricordo perfettamente quel giorno . . .. . ...avevamo fatto la polenta per pranzo, . . .. . ..allora era una gran cosa. Avevamo appena finito di mangiare e siamo usciti nell'aia, così, e stavano arrivando i tedeschi, che attraversavano il Chisone, il fiume laggiù e che avevano un fascio di paglia. . .ce n'erano 5 o 6.
Noi siamo rimasti proprio senza capire cosa poteva succedere.
Poi arrivano, arrivano davanti a casa nostra; prima avevano incendiato la casa di Bertalmio.
Poi sono venuti da noi. . .. . .ma dei ragazzi da noi non ce n'erano, non avevamo figli, avevamo una sola figlia. . ..
Non hanno detto niente; ci hanno soltanto detto RAUS - RAUS
E poi sono andati nella stalla e ci hanno fatto capire di portare via le bestie, magari non volevano che bruciassero; avevamo una mucca e tre capre.
Allora abbiamo slegato 'sta mucca e le capre e, dove andavamo?
Ci siamo incamminati su per la strada, lì, del Podio, quella strada brutta lì, che andava su ai Bout con le nostre bestie, che ci venivano dietro.
Siamo andati su fin nelle vigne, poi abbiamo incominciato a vedere che la nostra casa bruciava. Erano andati nel fienile, dove c'era il fieno, la paglia e lì hanno buttato qualcosa di infiammante, così che di colpo ha cominciato a bruciare. . ..puff!  Era tutto acceso, bruciava tutto, cosa fare?
Poi è venuto su qualcuno, non so più chi è venuto a chiamarci: - VENITE, VENITE GIU'! ERA QUASI NOTTE, - TANTO ADESSO I TEDESCHI SON VIA E LE CASE SON TUTTE BRUCIATE!
Siamo venuti giù e non avevamo più niente. E allora gentilmente, a quel tempo c'era il signor Mathieu, pastore di Pomaretto, e siamo andati a dormire per quindici notti nelle cantine, là del signor Mathieu.
Avevano messo per noi quello che avevano, delle coperte, degli stracci e delle trapunte vecchie.
Oh, eravamo parecchi, non soltanto noi. . .. . ...I  mobili della cucina non erano bruciati, avevamo ancora la stufa e qualche cosa, ma non avevamo niente da mangiare.
Almeno il Municipio ci era venuto incontro e ci aveva detto che potevamo andare a tagliare la legna per rifare il tetto. . .



DAL DIARIO DEL PASTORE GUIDO MATHIEU - 21 MARZO 1944.
 
"Sono le 14 circa del pomeriggio quando vengono ad avvertirmi che il villaggio dei Pons è in fiamme e non si ode che, da una parte il crepitio delle armi da fuoco che va man mano morendo e dall'altra quella degli incendi che divampano sempre di più, alimentati dal vento. Al villaggio è inutile che mi rechi perché é deserto; i superstiti sono fuggiti sotto le crudeli minacce della soldataglia incendiaria.
Chi sono i morti? Come mai sono stati uccisi? Perché il villaggio é stato incendiato? Sono le domande alle quali mi rispondono gli abitanti stessi dei Pons che mi raccontano, con lo sgomento negli occhi e nella voce, l'accaduto.
Sette soldati tedeschi appartenenti alle S.S. germaniche provenienti da Perosa sono penetrati nel villaggio sparando all'impazzata, invitando gli abitanti a fuggire.
Alcune donne e bambini che avevano cercato rifugio nella vicina galleria della grafite, mentre si avviano per la strada che conduce al villaggio superiore, vengono investiti dai colpi dei parabelli ed è un miracolo se una sola donna ottantenne riporti ferite. Quattro sono gli uccisi:

BARET Ferdinando, di anni 59. Conoscendo il tedesco puó evitare che la propria casa sia incendiata, ma per impedire a un altro gruppo di soldati di appiccare il fuoco al fienile, è da questi colpito a morte.
 
BARET Alberto, di anni 69, fratello del precedente. Vista la propria casa in preda alle fiamme cerca riparo in quella del fratello. Sta seduto su una sedia a sdraio, affranto e desolato, quando giungono gli uccisori del fratello che lo freddano.
 
BERNARD Arturo, di anni 40. Uscito dalla stalla, attraversa il breve spazio di fronte, quando lo raggiunge una raffica che lo atterra.
 
BONAUDO Alfredo, di anni 38, è seduto sull'uscio di casa, ha le sue carte di identità personali in mano, ma quei documenti non sono neppure guardati e viene colpito a morte.
Il suo cadavere con quello del precedente viene trascinato verso le fiamme che divampano.
La loro cremazione è evitata dai primi accorsi non appena la pattuglia incendiaria si è allontanata, non senza aver fatto bottino di quanto più prezioso ha trovato.
 
A ricordo dell'eccidio venne apposta su una casa dei Pons una lapide:
Nell'anno di guerra 1944, addì 21 marzo, questo villaggio fu distrutto da incendio per rappresaglia, che costó la vita a quattro suoi abitanti.
Di fronte a tante barbarie, o viandante fermati, rammemora e rifletti.
 
 
A perenne memoria, una delle case della borgata, la più in basso, molto visibile, anche da lontano, non venne mai ricostruita: è un testimone muto, ma pieno di significato.

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